Si sentì abbracciare. Strano, eppure la sensazione era proprio quella. Ed era piacevole. Inspiegabilmente provava gioia e così chiuse gli occhi e si abbandonò. Percepiva una brezza tiepida che gli carezzava il corpo, portando con sé pace. Pace e gioia. Era meraviglioso. Gli vennero i brividi e si perse dentro quelle sensazioni.
Si dimenticò di se stesso e si lasciò cullare. Nulla aveva importanza, non più. Lui non esisteva più. Era fuso insieme alla Gioia, alla Pace, all’Amore.
Vide un fascio di luce discendere verso di lui, così luminoso da costringerlo a coprirsi gli occhi con il palmo della mano, ma non così accecante da impedirgli di sbirciare tra le dita. La luce scese fino ad avvolgerlo.
“Il raggio di Dio” pensò. “È venuto a prendermi”.
Fuso insieme a Dio.
Si sentì sollevare. Si sentì Gioia, Pace, Amore. Si sentì vivo.
“È questa la fine?” chiese.
“O è questo l’inizio?” si sentì rispondere da una voce angelica. “Che differenza fa?”
Si sentì Uno con tutto.
Il corpo non ce l’aveva più già da tempo. Due o tre settimane. O almeno, così aveva pensato. Il tempo, nel luogo in cui si trovava quando era sceso il raggio di Dio, non funzionava esattamente come nel mondo reale. Ma era così reale anche quel mondo che era difficile capire come stavano le cose. Per esempio, ci aveva messo un po’ – non sapeva quanto – a rendersi conto che il suo corpo non era più un corpo. Era solo un contorno. Così se l’era spiegata. Testa, collo, spalle, braccia e gambe mani e piedi il tronco e sì (aveva controllato): anche le parti intime erano al loro posto. Ma il contorno non aveva consistenza. Se n’era accorto quando, per abitudine, aveva fatto per grattarsi la barba mentre rifletteva su dove si trovasse, e le dita erano passate attraverso la pelle. Non c’era voluto molto per capire che poteva attraversare porte, muri, persone.
Persone, già. C’era altra gente. Sia quelli normali, sia quelli col contorno. All’inizio non li distingueva. Poi, osservandoli bene – non è che avesse molto altro da fare – aveva notato che quelli col contorno avevano un che di etereo. Fissandoli a lungo riusciva a guardargli attraverso, e con l’allenamento ci impiegava sempre meno. Quelli col contorno lo salutavano; i normali non lo vedevano, impegnati com’erano. A volte pareva che lo notassero. Si giravano all’improvviso verso di lui, o si toccavano il corpo come a scaldarsi, se lui era vicino. Ma liquidavano la cosa in fretta e senza badarci, per tornare a occuparsi delle loro faccende.
Ogni tanto, mentre passeggiava per quella specie di universo parallelo, vedeva uno di quelli col contorno che fissava il cielo esclamando “il raggio di Dio!” poi il contorno sfumava fino a scomparire, e non lasciava traccia. Evaporava. Immaginava che sarebbe toccato anche a lui, prima o poi, ma non aveva paura: l’espressione che avevano gli altri non era spaventata, tutt’altro. Sembravano…beati.
I nuovi, quelli sì che erano spaventati! Gli era capitato di vederne. Correvano in giro come pazzi, cercando i loro cari e tentando di parlare con loro, di toccarli. Alcuni piangevano, si disperavano, urlavano: “Perché non mi rispondi? Cosa ti ho fatto?”
“Sei morto, cretino!” aveva risposto lui una volta.
“Sono cosa? E tu come lo sai?”
Lui ricordava perfettamente la sua morte. Lo stridere di freni. Lo schianto. La caduta. Facce sconosciute piegate su di lui. Ricordava la sirena dell’ambulanza. La testa che pulsava. Il sapore di sangue in bocca. Si era sentito distante. Si era sentito sollevare.
“È questa la fine?” aveva chiesto.
“O è questo l’inizio?” si era sentito rispondere. “Che differenza fa?”